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Angela Tomelli. L’évenement - La scelta di Anne

Regia di Audrey Diwan (2021) con Anamaria Vartolomei, Kacey Mottet Klein, Luana Bajirami, Sandrine Bonnaire

Premiato con il Leone d’Oro come miglior film alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia nel 2021

In questo momento storico in cui è ritornato tristemente alla ribalta il tema della interruzione Volontaria di Gravidanza (aborto, perché suona così crudele questa parola?) con tutte le implicazioni sociali e politiche che ha riattivato, il film ci riporta a duro contatto con un tema sempre attuale, con un diritto da difendere e con la dignità e la sofferenza di una scelta.

Ambientato in Francia nel 1963, prima della legalizzazione dell’aborto e della introduzione della pillola contraccettiva, tratto dal libro omonimo e autobiografico di Annie Ernaux, insignita pochi giorni fa del prestigiosissimo Premio Nobel per la Letteratura 2022.

 Anne è  il nome della giovane protagonista : ama la letteratura e ha deciso che sarà la sua professione, quella che le consentirà di sfuggire ad un destino per lei banale e proletario. È una brillante studentessa che deve sostenere esami finali all’Università, una giovane piena di vita e di voglia di vivere: balla, beve birra e si sperimenta nel gioco della seduzione senza mai veramente abbandonarvisi per iniziare una relazione stabile.
In un ambiente che condanna i suoi desideri e critica implicitamente e non, le sue ribellioni,  Anne scopre un giorno di essere incinta e sceglie di non voler proseguire la gravidanza in quel momento della sua vita. Ma, nelle convenzioni sociali e nella legislatura dell’epoca, Anne deve trovare una soluzione “clandestina” per porre fine alla sua gravidanza, cerca appoggi e trova tradimenti, conta le settimane cercando disperatamente di trovare una soluzione. Una ragazza che ha fatto la sua stessa scelta la indirizzerà ma sarà un percorso difficile e molto rischioso che mettendola a dura prova le restituirà una dolorosa libertà.

Cosa succede ad uno spettatore quando guarda un film sapendo che la storia che viene raccontata e rappresentata è una storia realmente vissuta?
Il flusso della fantasia e della immaginazione che avvolge e trasporta lo spettatore in mondi più o meno lontani, le trame identificatorie che le storie evocano, le emozioni dei personaggi evocate nei volti degli attori (in questo film particolarmente espressivi e credibili), tendono a lasciare lentamente il posto a reazioni emotive che si calano nel reale e  portano a volte in aspro contatto con una realtà inequivocabile.
È il caso di questo film che ci costringe a spalancare gli occhi e il cuore di fronte al tema dell’aborto in un contesto storico e sociale abbastanza diverso da quello attuale ma che rievoca, alle donne e agli uomini della mia generazione, tristi ricordi e ai giovani di questa generazione credo e spero stupore e forti timori di pericolose regressioni. Senza considerare che non in tutto il mondo le Leggi sono uguali, non ovunque vengono ben applicate, a volte persino si mette in dubbio la loro applicabilità.
Ecco allora che la regista ci pone in modo quasi freddo e a tratti violento, di fronte alla drammaticità non tanto di una scelta ma delle penose conseguenze di questa scelta, alla impossibilità di non correre rischi estremi, (il carcere, la propria  incolumità fisica e la vita stessa) , la solitudine in cui questa donna, e come lei tante altre, si ritrova, sola a combattere contro leggi e pregiudizi, non solo maschilisti.

Nel film viene quasi esasperato il contrasto tra scegliere di essere madre, quando questa scelta non nasce da un desiderio e una matura consapevolezza, sacrificare parti di sé al servizio di una maternità vissuta come sacrificio e annullamento e affermare la propria autonomia personale e lavorativa, scegliere le proprie passioni e inclinazioni (la carriera?) senza vincoli e obblighi verso figli non voluti.
Una gravidanza non desiderata può dare origine ad una reazione passiva di accettazione e rassegnazione. Oppure, come nel caso di Anne, alla scelta di non diventare madre come rivendicazione aggressiva contro tutto ciò che impone limiti o modelli ( società, famiglia, la morale) a dispetto di ogni precedente identificazione con la figura materna. Non si legge nella protagonista un successivo passaggio ad un vissuto di colpa , che poggi le sue radici nella identificazione con il bambino abortito.
D’altronde, anche se il regista non ci porta temporalmente molto oltre il tempo dell’aborto, è marcata la sottolineatura del sentimento di rivincita che Anne prova verso una madre scarsamente empatica,  giudicata  debole e prigioniera di  stereotipo femminile in  una famiglia proletaria. Anne vuole essere una donna diversa e vincente.
Il professore di Letteratura aveva criticato la protagonista – angosciata e ovviamente “distratta” dallo studio e dalla letteratura perché alla prese con la ricerca del modo di abortire - per il suo scarso rendimento, le aveva consigliato di abbandonare gli studi ; poi  quando “l’avvenimento” si realizza e la protagonista si ripresenta all’università, lui le chiede se è guarita e lei risponde “ si, dalla malattia che trasforma le donne in casalinghe”. Non occorrono altre parole, lui intende, lei riprende il suo cammino.
In quella frase e nel modo sicuro e dolorosamente sprezzante con cui viene pronunciata, c’è tutta la durezza della sofferenza e della ribellione di Anne.

Leggiamo in un articolo di Chiara Tagliaferri nel Domani del 7 Ottobre “ Il coraggio di Annie Ernaux e la sua scrittura politica”:
“…..Nel libro Ernaux fa un esorcismo: distrugge il senso di colpa affrancandosi con dolorosa tenerezza dalla propria famiglia. Tutti i figli sono dei traditori: la profanazione del nucleo familiare è il sacrilegio necessario per distaccarsi da ciò che sembra l’unico destino possibile per noi, insinuato o imposto come la sola giusta strada da seguire. 

Scrive Ernaux: «Non sapevamo parlare tra di noi senza brontolare, la gentilezza dei toni era riservata agli estranei. Mio padre non aveva imparato a sgridarmi in maniera garbata, e io non avrei creduto alla minaccia di una sberla proferita in forma corretta. Per molto tempo la cortesia tra genitori e figli è stata per me un mistero». Così Ernaux agisce con consapevolezza lo strappo, abiurando le sue origini proletarie per passare dall’altra parte: dalla classe dominata a quella dominante.

Nel 1963 Annie Ernaux ha ventitré anni quando scopre di essere incinta. Il dottore che la visita le dice: «I figli dell’amore sono sempre belli». Sul suo diario lei annota: «È orribile: sono incinta». Ma decidere di interrompere la gravidanza in un paese in cui l’aborto è illegale la costringe a seguire le vie clandestine.

Così Ernaux fa quello che perseguirà per tutta la vita: lotta per diritti non ancora divenuti tali per dare un posto nel linguaggio a parole bandite come “aborto”, e utilizza l’arma più potente che ha: la sua scrittura.

 Ne L’evento racconta: «Che la clandestinità in cui ho vissuto quest’esperienza dell’aborto appartenga al passato non mi sembra un motivo valido per lasciarla sepolta… Ho cancellato l’unico senso di colpa che abbia mai provato a proposito di questo evento, che mi sia successo e non ne abbia fatto nulla. Come un dono ricevuto e sprecato. Perché al di là di tutte le ragioni sociali e psicologiche che posso trovare per quanto ho vissuto, ce n’è una di cui sono sicura più di tutte le altre: le cose mi sono accadute perché potessi renderne conto. E forse il vero scopo della mia vita è soltanto questo: che il mio corpo, le mie sensazioni e i miei pensieri diventino scrittura, qualcosa di intelligibile e di generale, la mia esistenza completamente dissolta nella testa e nella vita degli altri».

(C. Tagliaferri, “ Il coraggio di Annie Ernaux e la sua scrittura politica”Domani, 7 Ottobre 2022)

Anne è corpo del film e nel film, il suo corpo è anche alla ricerca del piacere ma dilaniato dal dolore, un dolore “fisico” che il regista ci rappresenta in tutta la sua drammaticità. Il dolore mentale sembraoscurato ( scisso?, negato?). E appunto nel film questo oscuramento risalta dalla successione , senza interposizione di altro, delle due scene : quella in cui la protagonista è in ospedale in preda ad una emorragia che potrebbe costarle la vita ma dietro di lei, sfuocato, cè il medico che pronuncia la frase determinante “ aborto spontaneo” che significa “ non colpevole”!e quella in cui Anne si ripresenta trionfante  in aula di fronte al suo Professore

Il suo corpo paga il prezzo della scelta, il suo e quello di nessun altro. 

E la regista ci mostra in sequenze precise e cariche di un pathos che arriva diritto alla mente attraverso gli occhi, cosa significa essere la donna e il corpo che affrontano il rischio anche di morire in nome di una scelta di cui lei si assume tutta la responsabilitàperché ritiene di averne pieno diritto.

Quell’evento nella vita resterà persempre, è appunto L’Evénement con la E maiuscola; questo film ce lo ricorda con coraggio e senza veli, anche per questo credo meriti di essere rivisto ora.

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