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G.Morelli, S. Salvaneschi, G. Zoena. Psicoanalisi e Cultura storia di un legame profondo

Quando la Psicoanalisi  si accosta all’Arte possono nascere esperienze feconde a seconda dei percorsi che si intraprendono. Scriveva Freud in “Personaggi psicopatici sulla scena” (1905): «La lirica serve anzitutto a sfogare intense sensazioni di vario genere, e così era un tempo per la danza; l'epica è volta principalmente a consentire il godimento che fu della grande personalità eroica nell'ora del trionfo; il dramma, invece, mira a scandagliare più nel profondo le possibilità affettive, a trasformare, addirittura, in godimento i presentimenti di sventura, mostra quindi l'eroe in lotta, o più ancora, con soddisfazione masochistica, nella disfatta. Si potrebbe persino caratterizzare il dramma mediante questa sua relazione con la sofferenza e l'infelicità, sia che, come nella commedia, venga risvegliata solo la preoccupazione e quindi placata, sia che, come nella tragedia, la sofferenza divenga effettiva».

Alla produzione letteraria atta alla rappresentazione di pièces teatrali recitate o danzate, oggi potremmo aggiungere il Cinema, la Musica, la Pittura e la Scultura tra le tante forme d’arte possibili, oggetto di interesse e studio della Psicoanalisi. Essa fin dalle origini si interessava al contesto culturale dell’epoca e questo ne era a sua volta influenzato.

Nel breve passaggio citato, Freud attribuisce alle arti la funzione di fare emergere contenuti inconsci, facendo da tramite per l’espressione delle emozioni e degli affetti umani, sottolineando come lo spettatore o il lettore riescano ad identificarsi coi personaggi sulla scena, partecipando emotivamente alle gesta eroiche o alle tristi disfatte dei protagonisti. Da questa premessa risulta quanto sia importante non cadere nella tentazione di una Psicoanalisi dell’Arte e rischiare di perdersi in una visione patografica in cui l’interpretazione dell’opera d’arte diventa uno strumento per risalire alla psicopatologia del suo autore alla ricerca del segreto dell’atto creativo. Una concezione desueta e troppo affezionata ad una visione stereotipata della creatività che vuole la genialità affiancata al disturbo psichico.

Ci sembra molto più importante invece la funzione identificatoria dell’opera artistica che non è però l’unica possibile secondo Freud. Egli infatti distingue altre funzioni che possono, secondo noi, essere estese a tutte le forme d’arte esistenti: esprimere le emozioni, conferire piacere, favorire l’introspezione. Ad una attenta riflessione non si può non osservare che, di fronte a una qualsiasi creazione artistica, il nostro animo si trova più o meno esposto a un qualche sentimento che può essere tanto una sensazione piacevole, quanto una di tristezza o preoccupazione: ciò avviene in modo preponderante quando ci si può riconoscere, o per dirla in altri termini, ci si identifica con ciò che l’autore voleva esprimere, riconoscendo in se stessi la stessa tonalità affettiva, e forse anche un vissuto analogo. Spesso poi, ciò che si esperisce porta a più profonde considerazioni, tracciando una linea immaginaria di continuità tra sé e l’opera in questione (che si tratti di un quadro, di un film o di una canzone, è noto come questi possano costituire fonte di identificazione affettiva positiva o negativa).

Molto più creativo sembra quindi recuperare il rapporto originario tra Psicoanalisi ed Arte, un rapporto creativo fatto di scambi reciproci e in cui l’Arte ha la funzione di musa ispiratrice. Freud per primo (e dopo di lui molti altri autori) ha compiuto la fondamentale operazione di mettere in relazione e in un rapporto di reciproco interesse, la psicoanalisi e l’arte: si è venuta così a creare una sorta di “terra di mezzo” in cui mentre la Psicoanalisi dà una lettura dell’inconscio espresso attraverso l’arte, l’arte si impregna delle teorie psicoanalitiche per esprimersi.

Ricordiamo il pittore surrealista Salvador Dalì,  attento studioso delle teorie freudiane, interessato in particolare all’ “Interpretazione dei sogni”. Dalì traspose nelle sue opere alcuni concetti psicoanalitici, affermando che «L’unica differenza tra la Grecia immortale e l’epoca contemporanea è costituita da Sigmund Freud, il quale ha scoperto che il corpo umano, puramente neoplatonico all’epoca dei Greci, è oggi pieno di cassetti segreti che soltanto lo psicanalista è in grado di aprire».

Nel mondo del Cinema fu invece Alfred Hitchcock a portare in scena l’universo inconscio di Freud, tra gli altri nel film “Io ti salverò”. Emerge in questo caso la scoperta di se stessi come tema fondante, con le schockanti verità che questa scoperta comporta, attribuendo alla Psicoanalisi il ruolo di nuova scienza cui affidarsi per la comprensione di sé. Anche questo film si addentra nel mondo onirico, talvolta sovrapponendolo alla realtà e sarà proprio Dalì a fornire i dipinti per le scenografie. Più di recente, invece, altri registi come Woody Allen hanno portato in scena i drammi nevrotici costruendo i personaggi sui loro conflitti inconsci, sul loro rapporto col materno e con il sesso, nonchè sul controverso rapporto tra dipendenza e indipendenza affettiva.

Allo stesso modo, nel corso del tempo, la Psicoanalisi ha attinto dal registro linguistico dell’Arte per esplicitare le proprie teorie: per Freud la nevrosi si inscrive nel “Romanzo familiare dei nevrotici”(1908), il complesso edipico nell’ “Edipo Re” di Sofocle (2016), la poesia nel suo rapporto tra “Il poeta e la fantasia” (1907) connotando così la dialettica tra Arte e Psicoanalisi. Esse, oltre ad avere le funzioni che abbiamo citato, conservano anche alcune fondamentali caratteristiche comuni: esprimono ciò che è inconscio, sono atemporali e sono atti creativi.

Più di recente, in accordo con la contemporaneità, la Psicoanalisi si è accostata all'arte pittorica e musicale, confrontando le tecniche con cui si articola il discorso creativo, l'uso del tempo e la collocazione degli spazi. Tale dimensione conduce l’analista a diventare artista e lo induce, nella pratica analitica e insieme all’analizzando, a costruire nuove forme di linguaggio in cui anche un inconscio muto può trovare la propria espressione. Come psicoanalisti siamo abituati a lavorare con le interpretazioni e a concepirle come trasformazione di senso, o meglio, come re-significazione dell'esperienza narrata: da questa prospettiva la stessa analisi è un'opera d'arte aperta e progressiva, nella quale due co-autori, analista e analizzando, creano un sogno condiviso capace di andare al di là di una struttura che richiama il sistema logico-deduttivo. Infatti, come l'Arte, la Psicoanalisi è in grado di ricreare la mente, nel duplice senso di ritrovare un significato celato e di scoprire un gioco creativo capace di disvelare le narrazioni del Sé.

L’ascolto analitico in quest’ottica si accosta al preverbale, per intercettare le tante parti inespresse ed inesprimibili dell’analizzando, e si nutre di una sensibilità estetica fatta di ritmo, suoni, immagini e colori che gli artisti donano attraverso quell’atto trasformativo che può essere accomunato al processo psicoanalitico, in una dimensione dinamica tra percezione sensoriale e ricerca di senso.

Dunque la psicoanalisi non interpreta l'arte. La psicoanalisi interroga l'arte, così come le differenti espressioni artistiche interrogano la vita sul senso dell'esistenza umana e sul modo di narrare le esperienze. Esse, tutte insieme, rimandano ad una potenzialità espressiva mai raggiungibile ed esauribile in senso definito; tale movimento si traduce nella compresenza simultanea di livelli opposti, quello linguistico, quello fonemico, quello affettivo, in grado di intrecciarsi e arricchirsi a vicenda.

L'incipit di questo articolo citava un passaggio scritto da Freud inerente al senso e la funzione di quelle forme d'arte espresse attraverso la scrittura; quest'ultima è infatti la forma d'arte in cui i processi di ricerca e narrazione sono forse più evidenti. Essa è capace di rappresentare, nel senso di raffigurare in modo plastico (capacità che Freud attribuiva al lavoro del sogno), ma mai definitivo, i significati che si rivelano nell'occultamento del discorso; accanto a ciò la sua potenzialità autoterapeutica è in grado di creare in colui che scrive e in colui che legge quello spazio simbolico necessario ad elaborare le perdite e le separazioni che costellano l'esperienza umana. La scrittura inoltre, con il suo intreccio narrativo e il disvelamento dell'arcaico che proviene dall'inconscio, si pone come ricerca dell'Altro, inteso sia come altro da sé che come costitutivo inconoscibile, ma non per questo inavvicinabile, del soggetto. Ad essa pertanto viene affidata la funzione di memoria e testimonianza delle vicende individuali e collettive degli esseri umani, al fine di sollecitare e vivificare i vissuti di sensibilità e responsabilità reciproca, che inevitabilmente portano la mente a nutrirsi di verità, vale a dire di quella autenticità la cui ricerca mette in moto tutti i possibili processi creativi.

 

Gabriele Morelli, Sabina Salvaneschi, Giurita Zoena

 

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